INFANZIA SEQUESTRATA DALLO STATO - Relazione del 19.11.2015 all'aula magna della Scuola Media di Viganello!

20.11.2015 09:54

Buona sera e grazie di essere venuti ad ascoltare la mia testimonianza. 

Facciamo dapprima due passi indietro e sostiamo per un attimo alla data dell’11 aprile 2013. Giornata molto importante per tutte le vittime che hanno subito nel secolo scorso delle misure coercitive a scopo assistenziale. 

È in quel giorno che la Consigliera Federale Simonetta Sommaruga si rivolge alle 750 vittime presenti in sala e alle migliaia di vittime sparse in tutto il paese chiedendo loro, a nome del Governo Federale, scusa per i torti subiti. 

Dopo il commovente discorso, la Consigliera Federale mi ha permesso di rivolgermi al pubblico come persona toccata e di chiudere l’evento commemorativo con queste parole: 

Gentile Signora Consigliera Federale, Gentili Signore, Egregi Signori, 

sembra davvero sia germogliando la volontà di far luce su un capitolo oscuro della storia sociale svizzera. La giornata di oggi rappresenta un inizio molto promettente. Il fatto che l’intervento finale dell’evento odierno sia affidato a una vittima di misure coercitive a scopo assistenziale testimonia la serietà dell’impegno assunto dagli organi politici, dalle chiese e dalle associazioni. La si potrebbe definire “la coalizione dei responsabili”, volta a elaborare insieme a noi persone oggetto di queste misure, questo doloroso periodo del secolo scorso. 

Noi vittime siamo a lungo rimaste in silenzio perché una vergogna mal compresa e un senso di colpa interiorizzato ci hanno impedito di parlare. Io stesso sono riuscito a esprimerlo solo al momento del pensionamento, dopo la mia festa di addio: sono un bambino cresciuto in istituto. 

Figlio illegittimo, fui strappato a mia madre quando ero ancora in fasce. Questo su ordine delle autorità, sostenute dalla chiesa. Nonostante le centinaia di occasioni che avrei avuto di raccontare della mia vita in istituto, le esperienze vissute durante l’infanzia e l’adolescenza sono state così affliggenti che le ho tenute nascoste durante buona parte della mia vita, schiacciato dal peso della vergogna. Mi era impossibile parlarne. 

La frase scritta da Salman Rushdie calza a pennello: “Chi non può raccontare la sua vita non esiste”. 

Il fatto che oggi la nostra storia diventi pubblica e che ottenga spazio e ascolto mi commuove profondamente. Commuove me così come molte delle persone presenti in sala o rimaste a casa perché l’evento di oggi traduce qualcosa di importante: ci avevano invitati ad un evento commemorativo. Il risultato va ben oltre: verranno abbordati un paio di decenni della storia sociale svizzera fino ad oggi così vergognosamente tenuti segreti e passati sotto silenzio. 

Quello che oggi pomeriggio, qui a Berna, è presentato come “intervento finale” pronunciato da una vittima, è destinato a diventare, negli anni a venire, il primo di una lunga serie. Deve finalmente essere possibile parlare di quello che abbiamo vissuto, Poiché ricordiamolo, senza passato non c’è futuro. 

Questa è una giornata memorabile, non solo per noi vittime delle misure coercitive a scopo assistenziale, ma anche per la società. Per decenni questa ha permesso che succedessero cose che, almeno dal punto di vista odierno, costituiscono chiaramente delle ingiustizie. Incoraggio tutte le persone toccate da misure coercitive a scopo assistenziale a raccontare la loro storia e a renderla pubblica: a casa, al tavolo dei clienti abituali, al club, sul posto di lavoro o da amici. Raccogliamo le esperienze di vita, trasmettiamo il racconto delle ingiustizie subite e, insieme, facciamo in modo che le nostre tristi esperienze vengano riportate nei libri di storia e nei manuali scolastici. 

Spero si arriverà presto alla costituzione di un tavolo di lavoro ufficiale, che permetta alle vittime, insieme a rappresentanti della “coalizione dei responsabili”, ad archivisti e storici, di collaborate al dovuto riesame dei fatti avvenuti. Un tale tavolo di lavoro è più di una speranza, è una necessità.  

 

La signora Consigliera Federale ha appena pronunciato le tanto attese parole di scuse, donando a questo evento una dimensione supplementare. Per le migliaia di donne e uomini toccati dalle misure coercitive a scopo assistenziale ancora in vita, sentire queste parole è molto importante. E per i politici e la società, queste scuse indicano il cammino da seguire, che apre nuovi spazi di pensiero e di azione. 

Questo il mio discorso e intervento finale, dove tra l’altro sono anche intervenuti:

 

- Il Presidente della Conferenza Episcopale Svizzera, Vescovo Markus Büchel, a nome delle chiese Svizzere, chiedendo perdono alle vittime di misure coercitive internate in istituti di stampo religioso 

 

- Il Presidente dell’Unione Svizzera dei Contadini, Consigliere Nazionale Markus Ritter, chiedendo scusa a nome di tutti i contadini che, anni fa, hanno ospitato e anche sfruttato giovani ragazzi costringendoli al duro lavoro nei campi. Ragazzi collocati d’ufficio presso di loro. Chi ha visto il film di Markus Imhof “Der Verdingbub” sa di cosa sto parlando 

 

- Il Vicepresidente dell’associazione Svizzera di pedagogia sociale e speciale (Integras), Signor Beaud, chiedendo scusa alle donne che, nel secolo scorso, sono state internate amministrativamente nel carcere di Hindelbank per il solo loro comportamento cosiddetto “amorale” ma senza mai aver commesso alcun reato, alle donne e alle mamme che hanno subito adozioni forzate e alle donne che, contro la loro volontà, sono state sterilizzate. 

 

Ma torniamo indietro di alcuni decenni. Al lontano 1947, quando, il 2 ottobre sono nato proprio qui a Viganello, all’ospedale Italiano. 

Non avevo ancora due settimane di vita quando venni strappato a mia madre e portato all’Istituto “Dio Aiuta” di Pura. 

Nessuno mai si è preso la responsabilità di spiegarmi il PERCHÉ di questo collocamento in Istituto. Un collocamento che poi è durato 17 lunghi anni. Ovviamente il frutto di un “peccato” non poteva restare in famiglia. So solo a stralci che il mio sequestro è avvenuto in stretta collaborazione con il Comune di Lugano e il prete protestante della comunità diaspora evangelica del Sottoceneri. 

Ancora oggi non conosco i veri motivi del mio allontanamento. I primi undici anni della mia vita li ho trascorsi al “Dio Aiuta” di Pura, nel Malcantone. Ho frequentato l’asilo e le scuole elementari assieme ai bambini del paese. È stato in quell’occasione, al primo giorno di asilo, che ho realizzato che esistevano mamme e papà. Vidi come li accarezzavano, Vidi per la prima volta in vita mia l’amore. 

La nostra vita si svolgeva al di fuori della comunità del paese. Già da piccoli ci facevano lavorare nei campi, nella vigna e con le bestie. Tante preghiere, tanto lavoro e poco tempo libero! 

In quel periodo ricevetti poche visite, Una zia forse, la nonna e molto raramente la mamma. Le mie continue domande sul PERCHÉ non ricevevano risposte. Nessuno mai parlò di mio padre, sempre sconosciuto. Il silenzio e l’omertà pesava molto sul mio cuore. Ho cominciato a sentir vergogna di me stesso e a sentirmi colpevole della mia situazione. Nessuno mi ha liberato di questi sentimenti che poi ho portato con me per lunghi anni. 

Senza spiegazioni e senza preavviso, una mattina dell’ottobre 1958, mi sono trovato una valigetta all’ingresso dell’istituto. Il mio tutore, che prima di allora non avevo mai visto, me lo ricordo piccolo e gobbo, venne a prendermi con la sua automobile e mi portò a Bellinzona all’Istituto Von Mentlen. 

Una forte nostalgia (in tedesco Heimweh) prese possesso del mio cuore. Un male tremendo. 

Fuggii dal Von Mentlen, quando potevo, sempre in direzione di Pura. Ero molto disperato. Dopo un periodo del quale non ricordo la durata, mi trasferirono all’istituto Santa Maria di Pollegio. Nonostante mi sorvegliassero accuratamente riuscii a fuggire diverse volte, ma venni sempre ripreso e riportato in Istituto dalla polizia. 

Giacché non ce la facevano a tenermi sotto controllo, dopo mesi di fughe mi trasferirono a Zizers, nel Canton Grigioni. È lì, alla centrare del “Dio Aiuta”, un istituto severo e rigido, che resto fino all’età di 17 anni. 

Come già detto, anche a Zizers la mia vita da ragazzo è stata caratterizzata da tanto lavoro pesante nell’agricoltura, poco tempo libero per giocare e di un indottrinamento religioso permanente. 

 

Il “Dio Aiuta” di Zizers era una comunità chiusa in se stessa, senza contatti fuori dalle mura. Le punizioni, anche in caso di piccole trasgressioni, erano severe e talvolta molto dolorose, come per esempio: 

- “Passeggiate” invernali a piedi nudi nella neve alta fino a quando non si sentivano più i piedi. Potevano durare anche 30 minuti. 

- “Bagni” a corpo quasi nudo nell’ortica, con la conseguenza di un bruciore tremendo 

- Arresti in camera, senza pranzo e senza cena 

- Lavoro forzato fino a notte inoltrata 

- Abusi sessuali 

- Umiliazioni di ogni genere 

 

E così via…. 

Le visite rare che ricevetti a Pura non si ripeterono. Dalla mia famiglia non sentii più niente e anche il tutore di Bellinzona non si fece più vivo. 

Era nel maggio del 1964 che venni dimesso all’improvviso. Uno zio sconosciuto mi portò a Lugano, a casa sua. Di nuovo la forte e dolorosa nostalgia mi assalì. Piangevo spesso e mi sentii molto solo tanto che i 2 mesi successivi restai totalmente muto. Mio zio, confrontato con un ragazzo triste e senza parola si sentì sopraffatto. In seguito venni alloggiato in una misera cameretta a Lugano Paradiso dove mi lasciarono solo. Nessuno si curava più di me ed ebbe inizio un periodo molto difficile. Una solitudine incredibile. Una vita ai margini dell’esistenza fuori da ogni contatto umano mi mise in uno stato di grande disperazione. 

Fu un assistente sociale di Basilea, che stava facendo uno stage all’ufficio di Assistenza sociale di Lugano, che si prese cura di me. Avevo quasi 19 anni e finalmente, gradino per gradino, riuscii a mettere piede in questa società che da bambino e da giovane mi aveva espulso dai suoi ranghi. 

Dopo aver terminato gli studi di pedagogia sociale e speciale a Basilea lavorai come educatore in diversi istituti minorili per poi diventare Direttore di un centro minorile a Zurigo per ragazzi adolescenti in conflitto con la legge. Per diversi anni ho presieduto la Società Svizzera di pedagogia sociale e speciale Integras. 

Dopo il mio pensionamento mi è stata data la possibilità di intraprendere diversi viaggi in Russia, dove, su richiesta del Dipartimento Svizzero degli Esteri e in stretta collaborazione con il Governo russo, ho potuto aiutare gli Enti e le Direzioni delle carceri minorili a intraprendere delle riforme a favore dei giovani carcerati. Un lavoro molto soddisfacente. 

In tutti questi ruoli mi è stato possibile far valere in modo positivo le mie esperienze fatte da bambino e da ragazzo di istituto. Confesso però che le ingiustizie subite allora mi hanno accompagnato durante tutta la mia vita. 

Le domande che ho chiesto ai miei educatori, alla mia famiglia, alle autorità del Ticino sono fino ad oggi rimaste senza risposte e temo che non ne avrò mai: - Chi è mio padre? 

- Perché sono stato collocato in istituto? 

- Chi ha preso tale decisione? - Chi ha pagato tutto questo? 

E così via….. 

Gli archivi non danno più nessuna risposta e i dossier sono stati distrutti. Lo ha confermato il Direttore della Fondazione “Dio Aiuta” alla televisione della Svizzera tedesca sostenendo che le leggi in atto lo avrebbero costretto a tale misura.  

 

Anche Bellinzona mi ha confermato che l’unico documento trovato negli archivi è stato un foglietto con scritto: “Sergio Devecchi, figlio illegittimo”. 

Con questa testimonianza vorrei dare una voce anche a tutti coloro che, come me, hanno subito delle misure coercitive a scopo assistenziale. Vorrei incoraggiarli a rompere il loro silenzio. Che raccontino le loro tristi esperienze che hanno subìto durante la loro vita da bambini in istituto. 

Il Cantone Ticino, come gli altri Cantoni delle Svizzera, ha permesso e tollerato le vergognose misure coercitive a scopo assistenziale inflitte a molti bambini e giovani prima del 1981. Si assuma allora la responsabilità, si faccia avanti con coraggio scusandosi per i torti commessi dai loro predecessori, come lo ha fatto la Consigliera Federale Simonetta SommarugaIl Consiglio Federale nel 2013 ha installato una tavola rotonda e nel 2014 la Commissione per la rielaborazione scientifica degli internamenti amministrativi. Purtroppo la Svizzera italiana in queste commissioni non è rappresentata a sufficienza, sebbene il Dipartimento federale di giustizia, incaricato di installare sia la tavola rotonda sia la commissione scientifica, si è dato la pena di prendere in considerazione anche candidati Ticinesi o del Grigioni italiano. 

La situazione a livello federale ora si presenta così: 

Nel dicembre 2014 è stata depositata alla Cancelleria Federale un’iniziativa popolare che chiede un risarcimento alle vittime di mezzo miliardo di franchi svizzeri. 

Il Consiglio Federale nel gennaio di quest’anno ha elaborato un controprogetto di legge che prevede un fondo di solidarietà di 300 mio. di franchi. Spetta ora alle Camere (Nazionale e Stato) approvare o meno il controprogetto. Un SI permetterebbe un risarcimento alle vittime già nel 2017. In questo caso l’iniziativa popolare (così almeno hanno segnalato i responsabili) verrà ritirata. 

SI calcola che a tutt’oggi, ca. 20'000 vittime di misure coercitive a scopo assistenziale siano ancora in vita. Sarebbero loro i beneficiari del fondo di solidarietà. 

Non mi resta che ringraziare tutti voi che pazientemente mi avete ascoltato. 

 

Ringrazio Raffaele Mattei e Ferruccio Frigerio per l’idea e l’organizzazione di questa serata. Ringrazio i rappresentanti dei mass-media perché senza di loro gli scandali e i torti inflitti a migliaia di bambini e giovani durante il secolo scorso, rimarrebbero per sempre sepolti sotto un pesante telo di omertà!